Il tempo è solo una mera questione di numeri. Numeri a cui
attribuiamo un significato.
Balle.
Il tempo, quando è carico d’agonia, è palpabile.
E’
tangibile come il profumo dell’alba in riva al mare. Impossibile da definire,
ma d’una presenza innegabile.
Tuttalpiù si può dire che il tempo sia relativo, questo si.
Ma della relatività te ne frega ben poco se la tua
percezione è di lunga, eterna e infinita attesa.
Io, oggi, dopo quello che m’è parso essere tutto il tempo
dell’umanità, ho scritto.
Mi sono seduto alla mia scrivania.
Ho preso in mano un quaderno.
Ho cercato e impugnato una penna.
Ho osservato per qualche sospiro la carta bianca.
Ho ripetuto queste azioni per tanti di quei giorni che non riesco
a ricordare.
Ricordo però che ogni dannata volta, il rituale si fermava
qui. Incompleto, inutile, superfluo.
Niente.
Non una parola.
Non un singolo pensiero.
Il nulla. Assoluto e terrificante bianco.
Una candida assenza.
Ma non oggi.
Oggi le parole arrivavano senza nemmeno doverle chiamare.
Senza nemmeno pensare di doverle formulare.
Si imprimevano sulla carta sgorgando direttamente dal mio
subconscio.
Decise, chiare, imponenti.
Ho scritto di cinema.
Ho scritto di morte, di rabbia e di
separazione.
Ho scritto di scrittura.
Ho scritto d’aver scritto.
E’ stato come respirare.
E’ stato come tornare a casa…